Il finale del gioco vuole essere un monito: è impossibile vincere il gioco – non importa quanto bravi e veloci i giocatori riescono ad essere, arriverà un momento in cui il gioco arriverà alla fine e la terra si surriscalderà troppo per permettere la vita.
Non ci piacciono i finali negativi e in realtà non lo viviamo come un finale disfattista o deprimente.
Abbiamo scelto espressamente di non rendere gli esseri umani protagonisti della storia. Abbiamo scelto di rendere protagonisti dei fenomeni naturali che non possono far altro che essere sé stessi e non hanno realmente il potere di cambiare le cose.
Gli esseri umani, invece, ce l’hanno e se non lo fanno loro il Sole continuerà a splendere e l’Atmosfera a fare il suo lavoro, ma stavolta contribuendo a portarci alla distruzione anziché rendendo il pianeta abitabile.
Da qui il titolo del gioco ispirato a Il Giovane Holden di J.D. Salinger.
Il titolo originale del libro è The Catcher in the Rye, non ha una traduzione precisa, letteralmente sarebbe “colui che prende al volo nella segale”.
Diventa più chiaro se interpretato in riferimento a un passo del libro.
La storia è quella di un ragazzo che cerca il suo posto nel mondo e si fa una marea di domande.
Alla fine ci racconta, parafrasando:
immaginiamo di essere in un campo di segale che dà su un precipizio, e sono l’unica persona adulta lì in mezzo. Vedo una marea di ragazzini correre nel campo dritti verso quel dirupo, ignari del dirupo. […] Tutto quello che voglio essere nella vita, è essere colui che li prende al volo in quel campo di segale, prima che sia troppo tardi. Questo è tutto ciò che voglio essere.